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Palazzo Chigi-Albani, gioiello architettonico di straordinaria bellezza, costituisce la principale attrattiva di Soriano nel Cimino. La fabbrica del vasto complesso storico-artistico, di cui va menzionata Fonte Papacqua, fu avviata su commissione del cardinale Cristoforo Madruzzo, vescovo di Trento e Bressanone, il quale aveva acquisito dai Carafa il feudo con i castelli di Soriano e Gallese.
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PALAZZO CHIGI - ALBANI
STORIA E DESCRIZIONE
Palazzo Chigi-Albani, gioiello architettonico di straordinaria bellezza, costituisce la principale attrattiva di Soriano nel Cimino. La fabbrica del vasto complesso storico-artistico, di cui va menzionata Fonte Papacqua, fu avviata su commissione del cardinale Cristoforo Madruzzo, vescovo di Trento e Bressanone, il quale aveva acquisito dai Carafa il feudo con i castelli di Soriano e Gallese. La progettazione e la direzione dei lavori, eseguiti tra il 1564 e il 1571, fu affidata all’architetto perugino Ottavio Schiratti, che morì proprio in quel periodo, anche se non sembra che ciò possa aver comportato modifiche sostanziali al progetto originario di Papacqua.
L’edificio del Madruzzo doveva svolgere la funzione di “maisonnette”, casino di campagna; non è possibile stabilire se vi fosse un precedente fabbricato o sistemazioni a giardino, si sa soltanto che, in epoca romana, la contrada Papacqua era attraversata da una strada, che partiva dalla Cimina, percorreva la Ferentana e si congiungeva con l’Amerina nei pressi di Orte. Probabilmente alla metà del Cinquecento la contrada sorgeva in aperta campagna, luogo appartato e solitario, in cui sgorgava una impetuosa sorgente d’acqua.
Il palazzo fu utilizzato dal Madruzzo come luogo di villeggiatura dal 1572, ma la morte colpì il cardinale nel 1578, che non poté vedere terminati i progetti. Una massiccia costruzione in peperino, lavorata a bugnato e sormontata da un arco, orna il cancello che conduce al nobiliare complesso architettonico. Oltrepassato l’ingresso, si raggiunge un cortile a forma di “L”, da cui si sviluppa un’ampia terrazza, di fronte alla quale, tra i due corpi di fabbrica di cui si compone il palazzo, sono ricavati i diversi elementi che costituiscono l’elegante Fonte Papacqua, sormontata sullo sfondo, da un loggiato chiuso da un prospetto architettonico, a sua volta sottoposto ad una torretta cilindrica. La Fonte è costituita da due gruppi scultorei ricavati direttamente sulla roccia ivi esistente. Il gruppo centrale presenta una figura di donna con i piedi di capra (simboleggiante la “Regina delle acque” o “Papacqua”), con tre figlioletti a lei addossati, due satiri, un dio Pan che suona la zampogna e varie altre figure di animali. Le sculture del gruppo a sinistra rappresentano Mosè, che fa scaturire l’acqua da una rupe, circondato dagli Ebrei assetati. Tradizione pagana e tradizione cristiana si incontrano in un’unica opera di rara bellezza. Interessanti inoltre le figure allegoriche delle quattro stagioni, collocate due per lato, mascheroni, cascatelle e zampilli, che si susseguono sul lato sinistro, facendo da cornice alle sculture principali.
L’acqua, elemento protagonista in Papacqua, è celebrata nella cultura cinquecentesca come soggetto mutevole, prorompente e simbolico, in quanto manifestazione delle misteriose forze della natura; qui fuoriesce dalle composizioni scolpite nelle pareti della roccia, viene convogliata in una serie di getti, per poi confluire al disotto della terrazza e cadere in cascata; raccolta in bacino nel fondo roccioso della valletta, forma un laghetto, recentemente ripristinato, che nel periodo in cui venne realizzata la fonte, era utilizzato per spettacoli e naumachie, secondo l’uso dei signori dell’epoca.
L’edificio tra l’ingresso e la fonte accoglieva le abitazioni della servitù e fu voluto dal Madruzzo, come il pianterreno della palazzina frontale, che fu completata nel Settecento dagli Albani, con l’aggiunta del piano superiore. Il palazzo è costituito da un corpo principale a pianta rettangolare, percorso esternamente da lesene a bugne, nicchie, finestroni e specchi che donano alla costruzione un effetto chiaroscurale. Le nicchie ai lati del portale sulla facciata custodiscono due statue di stile rinascimentale. L’ingresso immette in un grande atrio, dove si innalza un pregiato portale in pietra, con copertura architravata sormontata dallo stemma della famiglia Chigi. L’edificio purtroppo versa in condizione di degrado.
Vasti saloni si schiudono concentrici di fronte agli occhi del visitatore. Uno spazio di disimpegno presenta copertura a cupola, collegato a piccoli vani che si raffrontano specularmente, coperti a botte. I numerosi ambienti di servizio sottostanti, parzialmente interrati, dovevano contenere dispense e depositi, specie per la selvaggina catturata con la caccia e provviste di nocciole. Una scalinata a chiocciola collega i piani tra loro. Suscita particolare interesse il secondo piano della palazzina, dove colori differenti identificano specifici saloni. Qui porte finemente lavorate uniscono i diversi ambienti, ornati da stemmi e pitture che ricorrono sulle pareti e sugli eleganti soffitti. Le stanze sono illuminate da ampie finestre. La Sala Rossa, che prende il nome dal rosso acceso con cui sono state coperte le pareti, è una delle più pregiate del palazzo. Tre finestre si aprono sulla parete sinistra del salone; frontalmente un grande camino in peperino, sormontato da uno stemma nobiliare, impreziosisce ulteriormente l’ambiente. Da questa stanza si accede ad una cappella di scuola berniniana ricca di dipinti.
Il complesso architettonico è noto anche per il parco, abbellito e sistemato sotto il dominio della famiglia Albani. Un lato della palazzina si affaccia direttamente sul giardino. Detto parco doveva avere originariamente un’estensione maggiore dell’attuale, tanto da incorporare la zona attraversata dalla via detta appunto “del giardino”, con l’attigua “casina degli specchi”. Un monumentale cancello denominato “cancello di ferro” dà accesso all’area boscosa.
BIBLIOGRAFIA
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